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Raccolta varia delle critiche al PD

31 dicembre 2008, mercoledì


Avevo bisogno di buttar giù in maniera non troppo analitica le maggiori critiche che personalmente credo siano rivolte al PD di questi tempi, evidenziandone le aree principali di provenienza.
Vi anticipo subito che nonostante la “questione morale” sia argomento tanto attuale quanto scontato in questi giorni, in questo articolo se ne farà appena un accenno.
Preferisco dedicargli un articolo a sé molto a breve: una “modest proposal” diretta al caro Walter.

Comincio con quelle critiche che sono meramente strumentali e provengono prevalentemente da destra: la propaganda pro PdL di Mediaset e dei giornalisti a libro paga di Berlusconi e di quelli che sperano di diventarlo facendo scempio della propria integrità ne è l’esempio più lampante.
A quest’ultima categoria possiamo accostare quei giornalisti che “tengo famiglia”, quelli che temono di vedere la propria carriera complicarsi improvvisamente, quelli che l’avevano già vista franare e si sono ripresi al volo grazie alla propria lingua (non esattamente usata per parlare).
Il recente sfogo addirittura contro i più che moderati direttori di Corriere e Stampa sono costruiti a tavolino col preciso scopo di intimidire l’intera categoria.
E a proposito di libertà d’espressione e quella vicenda: se voi foste giornalisti Mediaset molto molto ingenui – di quelli che non hanno capito bene la situazione – e aveste visto la reazione di Berlusconi contro due direttori, che non sono suoi dipendenti, solo perché una volta ogni troppo avanzano delle critiche nei suoi confronti, vi azzardereste mai a muovergli una pagliuzza contro da quel momento in poi?
Come potete davvero credere alle baggianate sulla libertà d’espressione dei suoi dipendenti?

Poi, sempre da destra, certuni nella società civile che criticano il PD a prescindere, per mantenere le proprie posizioni di privilegio, i loro piccoli, grandi feudi non soggetti alle regole dello Stato, le ingiustizie più o meno legali che loro credono diritti acquisiti e di cui si ergono spesso e sfacciatamente a fieri difensori. Illegalità varie a cui a destra non si sono mai sognati persino di annunciare di voler mettere mano. Vien quasi da capirli: quelli che le tasse le pagano solo loro, quelli che “guarda che gli faccio un favore a questi negretti a farli lavorare”, quelli che “ma che problema c’era a costruire lì?”, quelli che “per fortuna che Silvio c’è” che non serve più nemmeno il condono, quelli che “inutile che vi agitiate, perché il mondo è cambiato”, “Finalmente l’Italia riparte! Fuori i fannulloni di sinistra!”.
Eh, le unghie sui vetri…

Altri appunti provengono principalmente da sinistra o forse sarebbe meglio dire da varie aree spesso critiche con la stessa idea di partito di massa e che a seconda dei casi – e qui non intendo “di volta in volta”, sia chiaro – si autodefiniscono comuniste, antagoniste, massimaliste, critiche, e in vari altri modi ancora.
Vedono spesso come fumo negli occhi la sola possibilità che un partito di centro-sinistra vinca senza la sinistra, oppure di quelli che “Ma che sei del PD?” e poi ci parli e purtroppo troppo spesso evidenziano la povertà che c’è dietro la loro affermazione, totalmente incapaci di giustificare le proprie idee all’interno di una prospettiva di governo, di immaginarne un contesto possibile che non abbia dentro il PD.
E’ inutile. Non riescono a vederci come una risorsa. Ci devono affossare. Come durante la campagna 2008.
E allora ti rendi conto che spesso è solo l’ultima moda. Dare contro al PD – “visto in TV!” – e non importa se da destra o da sinistra o da quale parte, o difendendo quale visione politica, o pensando poi a quali alleanze riusciranno a portarli al governo.

Il senso autolegittimante di fondo di queste critiche da sinistra è quello di non aver rispetto per un partito grande perché esso: 1)conterrà inevitabilmente sacche di ambiguità etica, per cui basta spararla nel mucchio e probabilmente ci si prende (e poi per molti implica quel sapore anticonformista del non tirare solo su Berlusconi); 2)conterrà una varietà di culture tali da non farlo aderire esattamente al proprio punto di vista.
Quest’ultima idea a mio avviso è un po’ debole, perché non conveniente.
E la politica non può prescindere dalla convenienza, dalla resa.
In altre parole, non apparterrò mai con gioia al partito perfetto che ha il tre o il cinque o il dieci per cento e nessuna possibilità di apparentamenti vincenti.
E poi, se io, che sono ateo, avessi comunque dovuto governare con i cattolici della Margherita da alleati, non è meglio stare nello stesso partito all’interno di orizzonti valoriali condivisi? Il PD è un partito che crede nella laicità dello Stato.
Ci crede con forza perché la democrazia è il trionfo del relativo, e questo mal si concilia con l’idea di religione di stato e i diktat dei vertici della Chiesa.
A me questo basta.
Lo stesso discorso lo potrei fare per le politiche più o meno socialmente rilevanti.

Non dovremmo aspettarci un’identificazione con un partito.
Figuriamoci in un partito di massa che non è ideologizzato.
Non è ideologizzato come il PCI, e nemmeno come la DC. E nemmeno come Forza Italia, che in un certo senso evoca l’adesione acritica propria delle ideologie, per cui il suo leader potrebbe commettere qualsiasi nefandezza e non vedrebbe scalfire di una virgola lo zoccolo duro del 25% degli elettori, di cui una metà – ipotizzo, perché non mi va di guardare nel sito di Mannheimer – saranno teledipendenti conformisti e socialmente apatici, l’altra metà di aficionados conosceranno invece la lunga storia di malefatte di quell’uomo e su questo contano.
Bella gente, non c’è che dire. E quelli finiti nel partito di Berlusconi in due mesi, senza poter dire né ah, né bah?
Ricordo la frase liberatutti “Il voto è segreto!” di certi conoscenti di AN alle ultime elezioni.
Forse sono rimasto il solo che si illude abbiano ancora lo stomaco debole.

Un’altra critica, che rispetto molto perché ne condivido in qualche modo la visione politica, è quella che viene, oltre che dalla sinistra tutta, dagli ambienti di Sinistra Democratica, dai loro possibili elettori, o dal milieu di redazioni come quelle di Micromega, che del PD non sopportano l’idea che sia la casa anche di componenti dichiaratamente cattoliche – e quindi necessariamente ideologizzate se dovessero applicare alla lettera i dettami di alcuni dogmi di quella religione, e pertanto anche eventualmente limitatrici di riforme per libertà individuali, diritti civili et similia –  e di componenti che guardano al centro, benché riformiste.

E sopra tutto, che non venga ancora avviato un severo processo di revisione di certe particolari norme che dovrebbe assolutamente seguire qualsiasi esponente del PD.
Più comprensibilmente: che noi – e parlo da democratico – non si abbia ancora introdotto seriamente la questione morale come fattore precipuo del partito, oppure addirittura non ci siamo fatti  promotori in prima persona di quell’eccesso di garantismo che sfocia in spirito di conservazione della casta (il confronto Flores d’ArcaisViolante a In Mezzora di domenica scorsa è paradigmatico).

Nemmeno io mi accontento più che sia considerata solo una questione scontata, comunque; ma questo è argomento di cui – come detto – mi occuperò a breve e approfonditamente nel prossimo articolo di politica.

Le ultime critiche che mi vengono in mente sono quelle propriamente interne al PD.
Un esempio può essere la “difficoltà” di molte sezioni, della periferia tutta, ad esprimere quel ricambio immediato promesso, a lasciar spazio a modi di ragionare nuovi, alla pratica nuova dello spazio reale ai nuovi arrivati.

E’ vero, spesso la volontà di percorsi inediti rivela qualche ingenuità riguardo l’efficacia o meglio la percorribilità degli stessi, ma sarebbe il caso di non bollare sul nascere certe velleità come capricci, proprio perché la novità del partito democratico dovrebbe essere quella dell’accoglienza all’interno di orizzonti e valori condivisi, lontano dalle vecchie logiche di difesa delle posizioni raggiunte.

Un secondo esempio di critica dall’interno, sicuramente il più difficile di cui occuparsi in linea di principio, è la richiesta di una maggiore autonomia che proviene dal territorio, quantomeno un differente rapporto di forza centro-periferia nella composizione delle liste, visto che ancora permane questa assurda legge elettorale che non prevede preferenze.
E poi anche la richiesta – ben più cogente – della possibilità di elaborare delle politiche e delle alleanze autonomamente, senza avallo centrale, mi pare di aver capito.

E’ chiaro che un elenco come questo è criticabile sotto ogni punto di vista, perché personale. Tuttavia le omissioni che troverete sono figlie di dimenticanze e di nient’altro.
Accetterò consigli e critiche.
Non ho citato l’Idv perché sotto il punto di vista della giustizia è vicina alle posizioni di Micromega, Travaglio, Santoro, oggi.

di marco dewey